Expat o immigrati? Cosa siamo nel Regno Unito
C'è chi usa il termine "expat", più elegante e moderno, e chi usa "immigrato", forse più antico, che porta con sé una forte carica storica. Tuttavia non sono la stessa cosa.
In base al contesto la persona che si stabilisce in un altro Paese viene definita in modi diversi. Clandestino, se non possiede le carte in regola. Expat, nel contesto della vita sociale. Immigrato, secondo le statistiche demografiche. Cervello in fuga, secondo chi cerca di dare una spiegazione a chi lascia l'Italia.
La differenza linguistica tra expat e immigrato, però, è molto più marcata. Riguarda proprio delle differenze a livello comportamentale e sul piano delle motivazioni che spingono qualcuno a spostarsi dal proprio Paese d'origine.
Secondo l’Oxford Dictionary l'expat è colui che vive al di fuori del proprio Paese d'origine. Approfondendo la ricerca ci giunge in soccorso Wikipedia che, attraverso le sue fonti, spiega che "l'espatriato è una persona che risiede in un Paese diverso da quello d'origine" e che "il termine si riferisce a professionisti, lavoratori o artisti che trovano buoni posti di lavoro all'estero, sia come indipendenti che mandati dai datori di lavoro, che possono essere compagnie, università, associazioni governative o non. I lavoratori emigrati in altri Paesi, solitamente guadagnano di più di quanto guadagnerebbero nel proprio Paese d'origine e meno degli impiegati locali. Tuttavia, il termine "espatriato" è anche utilizzato con riferimento a pensionati e chiunque altro che abbia scelto di spostarsi e rifarsi una vita al di fuori del Paese natale. Storicamente parlando, il termine può riferirsi anche a esiliati". Insomma si tratta di persone con uno status sociale medio-alto o con un lavoro ben retribuito. Tendenzialmente l'immagine che ci viene in mente è quella di persone bianche e occidentali che lavorano nella grandi città.
Il termine "immigrato" invece è molto più basilare: secondo le Nazioni Unite è "una persona che va a vivere e risiedere in un altro Paese". Secondo il Centro Interculturale di Torino è "la persona straniera che è autorizzata per la prima volta a soggiornare e a lavorare per una durata almeno di un anno nel Paese di accoglienza". Il migrante, inoltre, è mosso da necessità impellenti di sopravvivenza. L'immigrato solitamente fugge dal proprio Paese per poter sopravvivere. Tende, quindi, a stabilirsi definitivamente nel Paese di arrivo e si integra, decidendo di dare una nuova casa e una nuova storia alla sua famiglia e ai discendenti.
Ecco che, confrontando i due termini, possiamo dire che gli expat di solito vengono percepiti come abitanti temporanei, legati al lavoro e alla professione, mentre gli immigrati come quelli che si stabiliscono definitivamente, legati sì al lavoro per migliorare la loro condizione economica, ma soprattutto al concetto stesso di vita, concetto che nel loro Paese d'origine è seriamente messo in discussione.
C'è anche un problema culturale che si manifesta a seconda dell'etnia di chi ha lasciato il proprio Paese: secondo "The Guardian" "expat" è usato, nella norma, per riferirsi a persone occidentali che si trasferiscono per lavorare all'estero. Capita allora che gli Europei che si spostano, come nel nostro caso, in UK, per un periodo di tempo limitato, sono expat e restano tali anche se in UK ci resteranno tutta la vita. È al contrario che si verifica il cortocircuito: se un cittadino italiano che lavora in UK è un expat, un cittadino nordafricano o mediorientale in UK o in un altro Paese occidentale è definito in molti casi "immigrato". Un retaggio culturale che affonda le radici nel Colonialismo.
Concludendo, a differenza di "expat", il termine "migrante" o "immigrato" è tendenzialmente un vocabolo con accezione negativa. Il riferimento a persone di colore provenienti da Paesi meno sviluppati è palese; nei mass media ha attecchito parecchio questa carica negativa. Insomma, se vogliamo prestare fede all'origine dei due termini, dobbiamo definirci expat se ci siamo trasferiti per motivi di lavoro, immigrati se ci siamo trasferiti con l'intenzione di cambiare anche la nostra storia più intima.